Il Salone del Libro di Torino
Un'esperienza indimenticabile
Oggi voglio raccontarvi il “mio” Salone del Libro.
Premetto che al Salone sono sempre andata volentieri, dalla prima volta che lo hanno proposto. Amo i libri e amo la scrittura. Da sempre, cosa posso dirvi: sono nata così.
Per cui quando lo hanno allestito, non mi è parso vero e ci sono andata subito.
Emozionata, eccitata. Quell’anno, era l’ormai lontano 1988, sono tornata a casa e il giorno seguente ci ho portato mia figlia, che aveva solo quattro anni, e mio marito.
L’anno seguente sono andata accompagnandoci una mia classe e da quel momento in poi non ho mai smesso di frequentarlo come lettrice, insegnante e mamma.
Nel 1991 sono andata al Salone molto incinta del mio secondo figlio che sarebbe nato a luglio e nel 1992 ci sono tornata con lui sul passeggino.
E ogni anno vi andavo una seconda volta accompagnando una classe e partecipando a dei laboratori o a delle conferenze.
Ogni volta ascoltavo dagli esperti dei pareri entusiasti e altri fortemente critici.
Io ero felice di andarci e basta.
Man mano che i figli crescevano, dovevamo pattuire prima quanto avremmo speso, perché se fosse dipeso da loro (e da me) avremmo comperato tutto, stand compresi.
Bei ricordi, con mio marito che a un certo punto si caricava uno dei due figli sulle spalle.
Tornavamo a casa esausti e ciascuno di noi quattro si rintanava in un angolo della casa a sfogliare, leggere o disegnare il suo “tesoro”.
Erano gli anni in cui facevano lo “sconto” fiera sui libri.
Poi è cambiato: il Salone è diventato un appuntamento internazionale, oltre ai banchi delle case editrici tradizionali, grandi o piccole che fossero, ne sono spuntati altri che più che libri proponevano diversi gadget e in più i biglietti sono diventati salati.
Ma ci andavo felice ugualmente, magari con meno entusiasmo ed evitando le ore di punta e la troppa folla.
A questa edizione sono arrivata nuovamente emozionata ma nervosa, lo ammetto: per la prima volta andavo non a visitare il Salone ma a viverlo da autrice.
Non sapevo bene cosa sarebbe accaduto. Avevo anche dei firmacopie!
Voglio raccontarvi subito che lo stand della mia casa editrice è galattico e non uso il termine a caso: impossibile non vederlo. Gli editori mi hanno accolto con la loro consueta empatia ed energia, neanche fossi la più conosciuta giallista del pianeta e … via, è iniziato il firmacopie.
Dovete sapere che se ancora non ti conosce quasi nessuno, il firmacopie mette una grande paura.
È vero che al Salone erano presenti migliaia di persone, ma per andare a farsi fare le firme da ben altre autrici o autori. O solo per ascoltarli e incontrarli o anche solo per trascorrere un pomeriggio a cazzeggiare un po’ tra i libri.
Sicché io me ne stavo seduta lì al mio tavolino, con tre o quattro copie del mio Danza Macabra, una Pilot gel in mano e un sorriso ebete stampato sulla faccia, sperando che passasse qualcuno che conoscevo o che qualcuno mi filasse almeno un po’.
Cercavo di farmi coraggio ripetendomi quanto avevo letto su di una scrittrice famosa che ricordava i suoi primi firmacopie come un qualcosa di tristissimo, con solo due persone in una sala.
Qualcuno che conoscevo è venuto, qualcuno che si è interessato si è fermato, ma nel frattempo davanti a me la marea umana scorreva e dietro di me scorreva la vita, perché i tipi della Pathos Edizioni correvano da una parte all’altra dello stand preso d’assalto dai lettori.
Così mi sono alzata, ho preso le mie copie e le ho posate sulla pila dei miei libri inseriti nella sezione Gialli, tra i Thriller e la Collana Orofino di Narrativa, e sono passata dietro al bancone. Ve l’ho già detto che ho una casa editrice fantastica?
Non lo sostengo solo perché mi ha pubblicata, quello vabbè, ca va sans dire.
Non è solo perché nei mesi scorsi ogni volta in cui li ho cercati per porre loro delle questioni che a me parevano di vitale importanza e a loro – lo capivo eh, sono intuitiva – lunari, con pazienza e celerità mi rispondevano sempre, anche quando stavano stramazzando dalla fatica.
Ma anche perché quando ho chiesto loro “Potrei restare qua?” e intendevo dietro al banco, al loro banco, mi hanno subito risposto “Certo che sì, sentiti libera di fare come meglio credi.”
Da quel momento in poi, il firmacopie è diventato uno spasso: sono rimasta non mezz’ora ma tre interi pomeriggi dietro la pila delle mie copie a chiacchierare con chi si fermava per chiedermi informazioni, con chi quando scopriva che ero l’autrice voleva la dedica, con chi dopo avermi ascoltata acquistava una copia e con chi dopo avermi chiesto informazioni acquistava il libro del collega vicino. E viceversa. E con chi ringraziava e giustamente se ne andava senza acquistare nulla.
Ho ascoltato storie. Tante storie. Ed è stato bello.
So per certo che un mio libro ieri è volato in Perù e che altre copie finiranno in centro e sud Italia.
E tornando a casa, dopo che tutto si è concluso, mi è venuta un’ansia che non vi dico: spero proprio che queste persone, quando avranno finito di leggere questa prima indagine di Eva Graneris, si sentano soddisfatte, divertite e intrigate: non voglio deluderle.
E non solo perché Danza Macabra è il primo volume di una trilogia, ma perché le persone che lo hanno acquistato mi hanno concesso fiducia, dal momento che non sono Patricia Highsmith e neppure Alice Basso o Richard Osman (lo so, molti in Italia non lo conoscono, ma lo conosceranno presto perché sta per uscire un film con un cast stellare, ma di questo vi parlerò un’altra volta, se dopo averlo visto decido che ne vale la pena) e io questa fiducia non voglio tradirla.
Lo avrete capito da soli a questo punto: i giorni del Salone per me sono stati non solo i più elettrizzanti, divertenti e appaganti degli ultimi mesi. In generale mi hanno fatto bene e sono stata bene.
Con Luigia, Claudio, Davide e Alessandro della Pathos mi sono sentita a casa e lo stesso vale per gli altri autori che ho conosciuto allo stand e anche questo è stato bellissimo: ciascuno di noi aveva scritto un libro diverso, con argomenti diversi e talvolta anche molto lontani per stile e genere narrativo, eppure tra noi che solo mezz’ora prima non ci conoscevamo è nata se non ancora un’amicizia almeno un senso di solidarietà e abbiamo finito con l’aiutarci gli uni con gli altri.
Più di una volta, quando capivi che il lettore non era interessato più di tanto a quello che avevi scritto, ci è capitato di chiedere “ma tu/lei cosa avresti/avrebbe piacere di leggere?” e di proporre il libro di una/un collega.
È stata una bellissima esperienza inclusiva, insomma, in un mondo e in un momento storico in cui sembrano vincere sempre più spesso il cinismo e l’arroganza.
E il mio libro, insieme a quelli di altri, ha iniziato a passare di mano per davvero.
Che è quello che ho sempre desiderato. Leggere e scrivere all’interno di una comunità.
In questo sei la Paola che conosco da quando leggevamo lo stesso libro facendo a gara a chi leggeva più pagine per poi commentarle! eravamo all’avanguardia: un piccolo gruppo di lettura e tu dietro al banco… tradizione di famiglia! un abbraccio
Sì, sono cresciuta dietro al bancone di un negozio e chi meglio di te può saperlo? È il bello di avere un’amica d’infanzia. Come io ricordo tuo nonno con tanto tanto affetto per i giochi che ci costruiva.