Paola Grandis

Il ghetto ebraico di Torino

Cenni di storia

Per chi fosse interessato ho pubblicato un video sul mio canale youtube.

Nei miei libri, ho inventato un hotel all’interno del quale si dipanano alcuni momenti della vicenda, in una piazza che è quella che i torinesi conoscono col nome di Piazza Carlina, ma la cui toponomastica esatta è Piazza Carlo Emanuele II, cuore del ghetto ebraico torinese.

Nel racconto trasferisco in Piazza Cavour parte dei riferimenti storici di Piazza Carlina, ma le due piazze sono contigue ed entrambe erano all’interno del ghetto.

I riferimenti storici riguardanti il ghetto li ho ricavati da un libretto che mi è stato regalato quando ero insegnante e che è stato edito dalla Città di Torino con l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea e s’intitola TORINO 1938-1945. 

Altre notizie le ho ricavate dalla rete, previa verifica. E poi mi sono aggirata per le strade …

Esso ripercorre i luoghi della città durante la seconda guerra mondiale.

A partire dalla bolla CUM NIMIS ABSURDUM, emanata nel 1555, nelle città italiane vennero costruiti i ghetti: il primo sarà quello di Venezia.

A Torino  il ghetto sarà costruito nel 1679 e sarà costituito da una parte di città compresa tra le: via Maria Vittoria, Via Principe Amedeo, via Bogino e via San Francesco da Paola. L’ingresso principale era allora in contrada San Filippo, oggi via Maria Vittoria.

Il ghetto era suddiviso in cinque cortili – Cortile Grande, Cortile dei preti, Cortile della vite, Cortile della taverna e Cortile della terrazza – tra loro comunicanti attraverso dei corridoi coperti, chiamati Portici oscuri.

Nel Cortile della vite si trovava la Sinagoga di rito spagnolo o sefardita, mentre quella di rito italiano era nel Cortile Grande. Il Cortile della terrazza era adibito a forno per la cottura delle azzime, mentre nel sottosuolo del Cortile Grande c’era la vasca del bagno rituale.

La crescita della popolazione e l’arrivo degli ebrei di Cuorgnè, resero necessario nel 1724 un ampliamento del ghetto.

Molto più densamente abitati rispetto agli isolati cittadini, gli edifici del ghetto si distinguono nelle loro facciate: a parità di altezza con le case limitrofe, sono sovrapposti quattro piani più un ammezzato.

All’interno del ghetto erano esercitate tutte le principali attività necessarie alla vita quotidiana e i lavori artigianali, quali sarti, calzolai e altre piccole attività.

Il ghetto era un luogo nel quale gli ebrei venivano relegati ed erano costretti ad abitare, perché l’enciclica stessa spiegava che non si poteva permettere ai cristiani di convivere con gli ebrei negli stessi luoghi e aveva delle connotazioni diciamo un pochino più libere rispetto a quelle che avrà poi a partire dal 1938, con l’emanazione delle leggi razziali.

Nel ghetto, a partire appunto dalla metà del 1679 si stanzierà forzatamente la borghesia ebraica Torinese, vi andranno ad abitare quindi sia i piccoli commercianti che occuperanno tutte le zone che vanno da via Po verso Porta Nuova nel quadrilatero che riguarda le vie Calandra, via San Francesco da Paola, via San Massimo e via dell’Accademia, e vi andranno ad abitare anche i notabili: medici, avvocati, professori a vario titolo.

A partire dall’occupazione napoleonica del Piemonte – nel giugno del 1800 Napoleone annette il Piemonte alla Francia e lo sarà sino al 1814 – insieme ai bastioni della città vennero abbattute anche le mura del ghetto: in ottemperanza ai valori di uguaglianza tra i cittadini, gli ebrei che volevano andarsene e trasferirsi, potevano farlo.

Le mura verranno in parte abbattute e in parte riutilizzate, dopodiché molti ebrei se ne andranno e si trasferiranno a vivere in altre parti della città o altrove, mentre altri invece resteranno lì perché lì avevano le loro occupazioni e le loro attività, lì erano nati e cresciuti.

Con le Regie Patenti di Carlo Alberto, lo Statuto Albertino del 1948, il ghetto non ebbe più la necessità di esistere, poiché gli ebrei potevano acquistare alloggi anche in altre zone della città e quindi il ghetto si svuotò progressivamente e gli stabili furono venduti e ristrutturati, l’immagine attuale dell’isolato del ghetto è infatti ottocentesca e neobarocca.

Il portone principale del ghetto era nell’attuale via Maria Vittoria, in posizione centrale ed era chiuso dall’esterno alle 23, per evitare che entrassero estranei per fare affari con gli ebrei.

Quali regole erano previste per gli ebrei del ghetto di Torino?
Con le Leggi e Costituzioni di Sua Maestà del 1729, il Legislatore sardo-piemontese raccolse in un unico testo una serie di disposizioni normative relative già adottate nei secoli precedenti.
Innanzitutto gli ebrei non potevano abitare dove volevano.

I sudditi di fede ebraica presenti nel Regno avrebbero dovuto trasferirsi nelle città – Torino, Chieri, Ivrea e altre – in cui veniva “tollerata” la loro presenza e ove sarebbero stati confinati in quartieri (ghetti) a loro appositamente dedicati.
Gli ebrei dal calare al sorgere del sole non potevano uscire dal ghetto e se erano scoperti nel violare la predetta norma erano condannati al pagamento di una multa oppure, se non potevano pagare, a otto giorni di carcere per ogni giorno sorpresi fuori dal ghetto in orario notturno.

Solo in occasione delle fiere i commercianti ebrei potevano passare le notti fuori dal ghetto. Era loro consentito trascorrere dieci giorni prima della fiera e dieci giorni dopo, fuori dalle loro case. La ratio della deroga era certamente quella di evitare l’isolamento economico e commerciale delle comunità ebraiche composte in gran numero da abilissimi e apprezzati artigiani.
Invece nei giorni in cui si celebrava la Passione di Cristo agli ebrei, era tassativamente vietato uscire dal ghetto, inoltre nelle abitazioni che si affacciavano fuori dal ghetto le finestre dovevano essere chiuse e oscurate: gli ebrei non dovevano mostrarsi ai cristiani durante i giorni in cui si celebrava l’agonia di Gesù sulla Croce.
Gli ebrei che avevano più di quattordici anni dovevano portare un segno distintivo di colore giallo “tra petto e braccio destro” in maniera tale da essere riconoscibili non solo alle autorità, ma soprattutto agli altri cittadini. Tuttavia quando gli ebrei erano impegnati in lunghi viaggi (ad esempio per raggiungere una fiera) erano esentati dal portare il segno distintivo e ciò, probabilmente, per metterli al riparo da predoni e briganti che avrebbero visto in loro delle facili prede.
Per quanto riguarda i beni, essi potevano possedere denaro, oro e oggetti preziosi, anche ricevuti in pegno da cristiani, ma era loro proibito possedere beni “stabili” ossia beni immobili.
Tutte le case del ghetto erano quindi di proprietà di cristiani che erano costretti a darle in locazione agli ebrei, i quali quindi dovevano corrispondere il canone di locazione.

Che cosa accadeva quando la casa fosse stata data in locazione ad una famiglia ebrea indigente che non poteva pagare il canone?

Di certo gli occupanti non potevano essere cacciati, inoltre la casa poteva essere data in locazione solo ad ebrei, perché solo a loro era consentito vivere nel ghetto.

In questi casi le autorità giudiziarie stabilivano che i canoni di locazione per le famiglie indigenti fossero pagati da tutti gli altri membri della comunità.
I residenti del ghetto, quindi, dovevano tutti contribuire a pagare i padroni cristiani degli immobili e ciò al fine di tenere indenni dalle perdite i cristiani.

Agli ebrei era poi naturalmente proibito bestemmiare il nome di Dio. Tale reato, considerato gravissimo, era punito con la morte. Tuttavia la Legge del Regno consentiva agli ebrei di praticare i loro riti e culti ma era proibita la costruzione, anche nei ghetti, di nuove sinagoghe e comunque durante i loro riti, gli ebrei dovevano tenere un “tuono modesto e sommesso” per non farsi udire.
In generale la Legge del Regno, nonostante prevedesse un rigido regime segregazionista, accordava tutela e protezione agli ebrei poiché era vietato ucciderli o percuoterli ed era anche vietato danneggiarne le abitazioni e le botteghe.
Per gli ebrei torinesi tutto cambierà nel 1848 con la riconosciuta libertà di culto, ebrei compresi, e quindi con la fine delle politiche segregazioniste, dei segni di riconoscimento e degli odiati ghetti.

Nella seconda metà dell’Ottocento i palazzi del ghetto vennero venduti e ristrutturati e le famiglie ebree poterono trasferirsi anche in altri quartieri della città.

Nel novecento, gli ebrei torinesi risiedono in tutte le zone della città, i più benestanti alla Crocetta, le famiglie meno abbienti in San Salvario, in prossimità della Sinagoga (costruita nel 1884).

Con le leggi razziali del 1938 il ghetto verrà in parte ricostituito e il cancello di Via Maria Vittoria – scendendo verso il Po, alla vostra destra – verrà aperto e chiuso mattino e sera e ovviamente gli ebrei della città saranno costretti in modo molto più coercitivo a ritrasferirsi all’interno del ghetto, poi da lì verranno spostati in vari ricoveri municipali perché, scoppiata la guerra, diventava troppo difficile gestire una situazione del genere e soprattutto perché era iniziata la deportazione degli ebrei torinesi verso i campi di sterminio.

Se abitate o visitate Torino, potrete passeggiare per queste vie guardandovi attorno con occhi diversi.

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