Parte seconda: 25 aprile e l'assalto al Forno delle Grucce
Seconda parte - "La Storia siamo noi", scrisse De Gregori
La scorsa settimana ci siamo lasciati con Maria, Rita, Irene e Luigi che cercavano di ricostruirsi una vita normale. La panetteria funzionava anche se le bombe erano un ricordo non troppo lontano, sia dal punto di vista temporale che spaziale.
Ma soldati amici avevano lasciato un messaggio prima di partire: la Gestapo sta arrivando a Susa.
Se vi foste persa la prima puntata di questa narrazione, potete recuperarla qui.
Susa deserta e l'assalto al Forno delle Grucce
Tutti gli italiani – i valsusini autoctoni o di adozione – la notte tra il 5 e il 6 settembre si rinchiusero in casa, dove rimasero in attesa degli eventi sino all’8 settembre, dopo il discorso di Badoglio.
Se prima erano partiti i militari tedeschi, nella notte dell’8 partirono quelli italiani.
Susa era stata attraversata in lungo e in largo dai soldati che se ne andavano e in quelle notti era impossibile dormire a causa del rumore infernale fatto dalle guarnigioni che se ne andavano o meglio che si squagliavano come neve al sole e soprattutto l’ansia e per la paura di cosa sarebbe accaduto pervadevano l’animo di tutti i cittadini.
Chi voleva o doveva andare con i partigiani, lo fece.
Chi voleva andare a combattere perché sosteneva il regime, partì per arruolarsi a Salò.
Chi era ebreo e non era ancora stato deportato o fuggito, lo fece quella notte.
I più, però, si chiusero in casa.
Il 9 settembre il silenzio era surreale e tale rimase per qualche ora, finché un brivido accompagnato da una sorta di boato diffuso non percorse la cittadina.
In tanti avevano saputo o capito: la caserma era deserta. E lì dentro i militari, andandosene, avevano lasciato di tutto, soprattutto cibo!
La stessa Irene era stata avvertita dal suo “morus” – un altro diciassettenne, per la cronaca di nome Ettore e che era il figlio del Podestà di Susa.
Era successo quello che, quando a scuola studiamo storia, viene riassunto con la frase il Re e Badoglio abbandonarono i militari a sé stessi.
Che fine ha fatto la nostra famiglia?
Nella caserma di Susa era stato lasciato ogni ben di dio: cibo in scatola, vestiti, sacchi di farina e legumi, medicinali e molto altro.
Saputo di questo, la nostra famiglia si organizzò: la nonna e Irene rimasero a casa a presidio dei loro pochi averi, Rita e Luigi andarono a cercare, come tutti, di arraffare la maggior quantità di cibo possibile.
Susa è montagna. Bassa, se volete, ma montagna, priva quindi dei terreni fertili e delle vie agevoli della campagna.
I montanari furono quelli che patirono maggiormente la fame durante la guerra, circondati com’erano da rocce.
La fame, in montagna e nelle città fu terribile.
Rita e Luigi riuscirono a tornare a casa con poche scatolette di carne, una bottiglia d’olio e qualche legume, tutto quello che erano riusciti a recuperare dall’incubo che si stava riversando per le strade.
Perché le persone erano diventate cattive e violente e se non riuscivano ad accaparrarsi quello che avevano deciso di prendere, lo rubavano a suon di botte a chi c’era riuscito.
Questo fanno anni di guerra e di fame.
“Quel giorno ho capito cosa può fare una folla quando è devastata dalla fame e dalla povertà. Per tutto il resto della mia vita, ho evitato di ritrovarmi in mezzo a una folla!” mi raccontò Luigi.
La maggior parte della farina era andata dispersa per le strade di Susa: chi riusciva a portarsene via un poco dalla caserma, veniva assalito per strada e, nella lotta, la farina si disperdeva nell’aria e per terra.
Luigi riuscì anche ad arraffare qualche libro: sebbene odiasse la scuola per tanti motivi, amava leggere e, dopo aver assistito all’insensatezza di quella giornata, i libri gli sembrarono il rifugio più sicuro al mondo.
Era anche uno sportivo: dopo la guerra nuotò, sciò, allenò persino delle piccole squadre.
Ma non andò mai allo stadio per assistere ad una partita.
Quella folla rimase impressa nella sua mente per sempre, esattamente come per sempre i libri furono il suo rifugio.
Il 10 settembre e cosa ne consegue
Arriva finalmente il giorno dopo e a Susa ritornano i Tedeschi, ma questa volta: la Gestapo c’è.
A tutti i maschi dai diciassette anni sino ai settanta, viene ordinato di presentarsi alla scuola elementare di Susa.
Deve andarci anche Luigi.
Maria, ormai troppo turbata dagli ultimi avvenimenti, non capisce più molto ma Rita e Irene sanno che una volta entrato là, rischiano di non rivedere mai più il loro Luigi.
Irene fa pressione sul moroso, che in quanto figlio del Podestà – insieme ad altri giovani – è incaricato dai Tedeschi di fare la ronda attorno alla scuola e di sparare a vista a chiunque cerchi di scappare.
I maschi ebrei vengono deportati e dopo qualche giorno le loro congiunte subiranno la stessa sorte.
Tutti gli altri andranno al fronte a combattere, come sorvegliati speciali e carne da macello, per l’esercito tedesco.
Luigi, grazie a quello che finita la guerra diventerà suo cognato, riesce a fuggire.
Salta dalla finestra con un amico e nessuno gli spara.
Corre a perdifiato verso le montagne e in mezzo ai boschi, finché non lo trova una banda partigiana che perlustra la zona e che quasi gli spara, scambiandolo per una spia o un infiltrato.
Solo dopo aver superato un lungo e a tratti brutale interrogatorio, verrà accettato.
Il resto della guerra, Luigi lo vivrà così, con i partigiani, combattendo insieme a loro sulle montagne del Frais.
Suo malgrado, per altro, avendo cercato in tutti i modi di evitare di combattere fino a quel momento.
Riuscirà a ritornare a casa a guerra finita, da una madre e da una sorella che per quasi due anni non avevano più saputo nulla di lui, neppure se fosse vivo o morto.
Un lieto fine che giunge non il 25 aprile 1945, ma qualche giorno dopo, ai primi di maggio, quando i piemontesi poterono finalmente festeggiare la liberazione e la nostra famigliola si ritrovò quasi tutta insieme e in vita: la nonna purtroppo era venuta nel frattempo a mancare.
E vissero tutti...
La mia storia giunge qui al termine.
Confido che adesso abbiate compreso il suo nesso con il titolo e il perché abbia deciso di raccontarvi una storia come tante vissuta da persone come tante, che hanno vissuto sulla loro pelle il nazifascismo e la liberazione.
Questa volta le conclusioni le lascio tutte a voi: io mi sono limitata a riportarvi una testimonianza, una memoria preziosa ma imperfetta, come tutte le memorie e come ci insegna Primo Levi ne I sommersi e i salvati.
Mi è parso il modo giusto di celebrare queste due ricorrenze.
Fatemi sapere cosa ne pensate: sono felice di ricevere, come sempre dopo ogni articolo, un vostro commento!
È la vostra partecipazione che dà un senso a questo blog!